Sulle tracce di un progetto fotografico personale: climate change e attivismo giovanile
Brescia, ahimé, ha il triste primato di essere una delle città più inquinate d’Italia: il termovalorizzatore, il lascito del Pcb dell’industria Caffaro, l’alta densità industriale e la localizzazione geografica nella Pianura Padana hanno prodotto effetti drammatici sulla salute dei cittadini bresciani.
Su scala globale lo stesso mix di scarso interesse per la questione ambientale, una rapace avidità e un crescente scollamento dei valori di solidarietà e di senso civico hanno prodotto il disastro climatico che è ormai sotto gli occhi di tutti.
Fin da quando ho cominciato a fotografare mi sono interrogato sul senso del mio scattare. Documentare attimi fuggenti di bellezza e cercare di ricreare per un istante un ordine nel caos, grazie alla mia scelta nel mirino, mi ha sempre gratificato. Anche regalare memorie durature di attimi irripetibili è una parte molto gratificante e pregna di significato.
Ma ora tutto questo rischia di non avere più senso.
Negli ultimi mesi ho visto documentari come Punto di non ritorno – Before the flood con Leonardo Di Caprio (da questo momento il mio numero uno a Hollywood) , ho divorato i Ted talks sul climate change, mi sono iscritto alle newsletter di XR Extintion Rebellion e FFF e al The Guardian, ho ascoltato podcast e navigato in decine di siti e web magazine, ho letto tra gli altri i libri di Carola Rackete e di Greta Thunberg
Alla fine di questa che sembra una discesa agli inferi mi sono sentito uno stupido: quanto tempo perso e quante cose ancora da imparare. Di colpo ho sentito che se c’era un progetto personale su cui impegnarsi non poteva che essere legato al cambiamento climatico.
Per il momento sto mettendo le tessere del puzzle sul tavolo: una serie di ritratti ad attivisti? reportage sulle grosse proteste? Un lavoro provocatorio e che strizzi l’occhio alle gallerie?
Ancora non ne ho idea, so però che il tempo non è dalla nostra parte: intanto cerco di seguire questo bellissimo movimento che sono i Fridays for Future. Quando ai miei tempi si facevano gli scioperi al liceo i motivi erano i più assurdi e disparati. In fin dei conti nessuno se ne occupava troppo perchè alla fine si andava in manifestazione per broccolare, magari tirare qualche canna e poi finire in qualche bar del centro a cazzeggiare con una sigaretta tra le dita e il cappotto pesante preso al mercatino dell’usato a Praga durante la gita in II liceo, sentendoti un po’ un esistenzialista francese.
Oggi invece veder migliaia di giovani e adolescenti in piazza per il loro e nostro futuro è un’esperienza panica: commovente ed elettrizzante allo stesso tempo. Alla faccia dei millennials e della Generazione Z.
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