Il Brescia Photo Festival ha ospitato la mostra Leggere di Steve McCurry
Durante il Brescia Photo Festival ho avuto l’opportunità di visitare al Museo Santa Giulia le mostre Leggere di Steve McCurry e Magnum la Première Fois.
Qui racconterò della mia esperienza all’esposizione del grande fotografo americano, lasciando ad un altro post il resoconto delle sensazioni nate guardando le foto della mostra Magnum.
L’allestimento
Confesso che ho aspettato gli ultimi giorni per vedere la mostra di McCurry: i feedback che mi arrivavano da amici e parenti erano entusiastici, un po’ meno quelli dei colleghi fotografi. La prima cosa che mi ha colpito molto positivamente è stato l’allestimento (progettato da Peter Bottazzi e realizzato da Krea Allestimenti): sobrio ed elegante, con alcune frasi e citazioni riguardanti la lettura scelti da Roberto Cotroneo e stampati su supporti che sembravano pagine di libri: un’idea visivamente molto coinvolgente.
La mostra
Le foto della mostra (tante, non le ho contate, ma è una mostra che non ti lascia la sensazione di essere messa insieme con qualche opera raffazzonata) sono esteticamente ineccepibili, alcune meravigliose. D’altronde è quello che ci si aspetta da uno dei migliori fotografi viventi al mondo, ormai conosciuto a livello planetario come una rockstar. Personalmente in mezzo a tanta perfezione estetica mi è mancata un po’ di anima: mi spiego meglio… Si vedeva secondo me che questa è una mostra d’archivio, pescando nella colossale memoria analogica e digitale di McCurry e creando ex-post una mostra con un fil rouge legato alla lettura. Diversi secondo me i progetti che nascono da una reale necessità dell’artista e non da uno studio di marketing fatto per valorizzare un archivio fotografico.
In mostra anche quel ritratto meraviglioso fatto all’ “altra ragazza afghana”, non Sharbat Gula per intenderci, quella della copertina di National Geographic e che è diventata un’icona del fotogiornalismo. Intendo la foto scattata a Peshawar nel 2002 Afghan girl with green shawl: un ritratto di una bellezza e poesia da rapire il fiato
Eccesso di Photoshop? Le critiche a McCurry
Ero curioso anche di vedere McCurry all’opera dopo le numerose critiche per i grossolani fotoritocchi ad una sua foto cubana in mostra a Torino nel 2016 e che costarono il posto ad un suo dipendente che venne incolpato dell’errore. All’epoca si alzarono violenti gli scudi di chi riteneva inammissibile ritoccare una foto documentaristica in mostra, al chè McCurry spiazzò tutti dicendo che non si considerava (più?) un fotogiornalista, ma un artista. Quindi criticabile dal punto di vista professionale per un ritocco mal riuscito, meno invece dal punto di vista etico.
Ho sempre avuto allergia per i pasdaran da salotto, quelli che amano fare sofismi con un bicchiere di bollicine in mano ad un’inaugurazione. E il bel video a supporto della mostra mi ha rincuorato. Si tratta di un documentario di circa 15′ che ripercorre gli esordi della carriera di Steve McCurry. E che ricorda a tutti che il buon Steve fu l’unico giornalista occidentale ad entrare in Afghanistan dal confine pakistano, prima dell’invasione russa, travestito da contadino. Dopo aver nascosto nei vestiti i rullini riuscì a farli pubblicare dal New York Times e Time e vinse la Robert Capa Gold Metal.
Il mondo secondo Steve
Poi da bravo americano McCurry ha sempre bilanciato la propria aspirazione e passione per la fotografia con la vendibilità di un prodotto e con l’andare del tempo è diventato una istituzione, perdendo forse un po’ di spontaneità. Ho letto anche il libro intervista che ha fatto con Gianni Riotta, Il mondo di Steve McCurry e anche qui ho trovato numerosi spunti interessanti, aldilà di quelli di cronaca e biografici, soprattutto sul suo modo di approcciare la fotografia. In particolare sentirlo parlare quasi in termini metafisici riguardo alla propria predisposizione d’animo quando si esce a fotografare mi ha fatto molto riflettere. Effettivamente, me ne rendo conto anch’io, le cose non accadono per caso quando sei in strada a fotografare. Dipende tutto da come stai tu, dal tuo stato d’animo, da quanto sei aperto e pronto ad accogliere le meravigliose coincidenze della vita, gli attimi che passano e cercano qualcuno pronto a vederli (e a coglierli). Questa verità che può apparire banale è invece di grande profondità e dà un senso diverso alle cose. Lo stesso McCurry dice nel libro che i suoi numerosi viaggi in Oriente lo hanno profondamente influenzato a livello spirituale. Personalmente credo che questa continua tensione tra il suo essere un’istituzione e un’icona forse un po’ ingombrante contrapposta alla sua profonda spiritualità orientale lo rendano un grande fotografo contemporaneo.
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